2021 – Olimpia De Girolamo
IL PRIMO SCALINO: L’ASSALTO DEL PASSATO

Carmela! Carmè! Carmela!

Carmela era la signora cha abitava al quarto piano. Al quinto abitiamo noi. Mia madre non la poteva vedere perché si dava mille arie da gran signora, quando poi, altro non era, che una vajassa tirata fuori da un basso a vico Limoncelli da quel buon uomo di suo marito Arturo. Aveva sette figli. Di uno di loro, Salvatore, il più piccolo, non si parlava mai. Un giorno Salvatore era sparito. Lo ritrovarono morto in una grotta sopra Posillipo ma nessuno capì mai, come ci era finito laggiù. Si parlava di tutti gli altri. Di Ada si parlava, non solo in casa o nel palazzo ma in tutto il quartiere. Se ne parlava per il gusto di parlarne, per dire dei suoi fianchi o del suo culo, delle forme del suo seno, come se avere quel corpo avesse più senso di quello che ci stava dentro a quel corpo: pensieri, idee, sogni. Ada sognava. Ci parlavo spesso, in estate, quando nello slargo del pianerottolo al terzo piano ci mettevamo a prendere il sole tra la polvere. Lei si portava una radiolina a batterie e tirava su l’antenna. Ascoltavamo Mina e Patty Pravo. Fu una domenica di quelle che Ada mi disse, mentre stava distesa con la schiena sulla gradinata e dondolava una coscia aprendola e chiudendola, fu lì che mi chiese all’improvviso:

Ma tu, l’hai mai visto un maschio?
In che senso Ada?
Nel senso di: l’hai visto o no? Annure, nudo, comme l’ha fatto a’mamma.
Ma tu sì scema? Mia mamma me accide.

Seguì un silenzio lungo. La sua coscia si apriva e chiudeva come per far entrare aria sotto la gonna che si era tirata su quasi all’inguine.

Je l’aggiu visto n’omme annuro.
E a chi?
Giovanni, Giovanni o’ fruttivendolo.
Maronna ma chillo è viecchio. Pare o’ nonno mio.

Si mise a ridere per questa mia osservazione sull’età, forse perché, più esperta di me, aveva ben chiaro che un uomo di quarant’anni non è certo vecchio. Lo era per me che ne avevo quasi dieci, ma per lei, sedicenne, tutto sembrava già chiaro sull’età, sulle cose possibili e impossibili, sui desideri, sui corpi nudi e su tutto il resto. E così, senza che io capissi veramente, cominciarono racconti di una sessualità a me ignota, di qualcosa di misterioso, di detto a mezza bocca, perché tu si ancora piccirella e cierti cose nun e‘ può capì. Una frase peggiore da dire a una bambina non c’era e così mi si apriva la fantasia a immaginare Ada e Giovanni nel retrobottega a toccarsi e baciarsi, lingua contro lingua, mentre nessuno al di fuori poteva capire niente. Tutto si svolgeva così. Un mondo di dentro e un mondo di fuori. I vicoli, i muri scrostati, l’umidità del primo mattino, sembravano indifferenti alle vicende povere e scalcinate della gente del mio quartiere. Invece proprio i muri, le crepe di questi muri, sapevano già tutto, conoscevano ogni dettaglio di ogni famiglia, ogni disperazione, croce da portare, povertà e malattia. Così, bastò poco, e la storia di Ada e Giovanni venne alla ribalta dell’intero vicolo e del palazzo.

Quel pomeriggio stavo rincasando con la spesa, due bottiglie di latte fresco e uno sfilatino di pane. Appena toccato con il piede il primo scalino, sento un botto, come a capodanno, alle mie spalle. Un rumore come un boato, qualcosa che esplode. Mi giro e vedo dietro di me un corpo di donna, a pancia in giù, con una gamba rigirata indietro. Non so se sia arrivato prima il pensiero e poi la mano si è aperta per far cadere le bottiglie del latte e tutto il resto, oppure se prima si è aperta la mano e poi è arrivato il pensiero. Anche in questo caso non ho saputo contare gli eventi che si succedevano uno dopo l’altro. Era Ada quella là per terra. Era Ada e non era più Ada. Era ciò che restava di lei, dei suoi sogni, della radio accesa e delle canzoni di Mina. Tuonarono le urla di tutti. La madre, la signora Carmela, strillava come non avevo mai sentito prima. Io, immobile sul primo scalino sentivo un liquido caldo che mi scorreva tra le gambe. Mi ero pisciata addosso. Mia madre, aveva sceso tutti gli 89 scalini come una dannata. Mi scuoteva e io la sentivo, ma come da lontano. Mi scuoteva mi chiamava Anna, Anna, come forse si chiama chi sta morendo e tu non lo vuoi lasciare andare. E forse era così. Anche io stavo morendo un po’ quel pomeriggio. Stava morendo l’idea dei sogni e della libertà che mi raccontava Ada, l’idea che l’amore segreto e di passione si può consumare come un pasto oleoso e denso, appetitoso e che mette allegria. Stavo morendo un po’ io bambina per aprire gli occhi su una comunità di poveri cristi come la mia famiglia e tutti gli altri, che avevano bisogno di dio come consolatore per ogni cosa che non si sapevano spiegare. E la situazione di Ada e di Giovanni, non se la voleva spiegare nessuno. Non si voleva dire ad alta voce che quella benedetta ragazzina di 16 anni e dal bel corpo era riuscita a sedurre un padre di famiglia e un marito e, per la vergogna e per le accuse dei suoi genitori che la chiamavano zoccola e puttana, si era tolta le scarpe, era salita sulla sedia e si era buttata di sotto dal quarto piano.